CARRAPIPANA ERA!

 

 

Chiamare qualcuno carrapipanu, che la persona

provenisse o no da quel paese, era un insulto

dato che tale parola simboleggiava quasi tutto

quello che ci fosse di maleducato e sgraziato.

Jerre Mangione

 

DON COLA (come preso dalla tarantola,

 andando su e giù, con le mani in testa)

 Signuri mei, carrapipana!... ‘A cuntinintali,

‘a rumagnola, era di Carrapipi!

Nino Martoglio

 

 

 

Nei primi anni 60, assieme all’amico Pietro Curatolo, avevo assistito a Dortmund ad uno spettacolo di canzonette destinato agli emigrati italiani. All’uscita del teatro, le nostre orecchie furono interpellate con cristallina chiarezza dalla frase “Unni si nni jèru ddi du’ carrapipani?”. Ricercammo tra la folla il gastarbeiter che aveva pronunciato quelle parole, lo individuammo e, minacciosi, gliene chiedemmo conto e ragione. Il malcapitato disse subito che non ce l’aveva con noi e per giustificarsi precisò che “carrapipanu” al suo paese era sinonimo di “idiota”. Aveva aggravato la sua posizione, il poveretto, ma mal non gliene incolse: con Pietro, ci guardammo in faccia e ci mettemmo a ridere. Il nostro corregionale veicolava, inconsapevole ed incolpevole, un preconcetto che non ci toccava più di tanto.

          Quale carrapipano non ha vissuto analoghe situazioni? Il nome del nostro paese, percepito come buffo, alimenta da secoli pregiudizi che ci vogliono ora cretini, ora zotici, ora delinquenti e chi ne ha più ne metta. Sarebbe necessario che si mettessero d’accordo i fabbricatori di etichette o ancora meglio che confrontassero il paese immaginario che hanno in testa con la Carrapipi in carne ed ossa. Scoprirebbero un paese non dissimile da tanti altri e che con tanti altri (a partire dalle ragioni della sua fondazione) condivide passato e presente. Ma i pregiudizi hanno la pellaccia dura: dal momento che ci rassicurano, preferiamo tenerceli stretti. D’altronde, chi si sente di scagliare la prima pietra?

          Bisogna tuttavia ammettere che un’altra volta, nel lontano 1972, un nostro detrattore ci andò davvero di mano pesante. Il 14 luglio (data fatale!) di quell’anno, la RAI non trovò di meglio che celebrare con due anni di ritardo il centenario della nascita di Nino Martoglio trasmettendo in prima serata “L’aria del continente”. Il commediografo belpassoto, come si sa, non è stato tenero con noi, ma la sua Carrapipi, in fondo, cos’altro è se non l’emblema della Sicilia più profonda? Non la pensò così un collaboratore del romano “Giornale d’Italia” che il giorno successivo pubblicò questo velenoso trafiletto:

 

 

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            L’articoletto non passò inosservato. Il figlio di una nostra concittadina - di professione avvocato - residente nella capitale ne rimane indignato trovandolo “del tutto falso e lesivo dell’onorabilità dei Carrapipani”. In un primo tempo pensò di indirizzare lui stesso una protesta al direttore del giornale, ma poi trovò che la cosa avrebbe avuto maggior forza se effettuata dal sindaco del paese. Ritagliò il trafiletto e lo fece pervenire al primo cittadino suggerendogli di scrivere lui la lettera e di chiederne la pubblicazione sullo stesso giornale, “salvo eventuali azioni legali per la tutela del buon nome del paese, dei suoi abitanti e di quanti discendono dal Paese”.

          Siamo già in agosto. La missiva dell’avvocato scuote una cittadina sonnolenta, immersa nell’afa. Cosa fare? La protesta dev’essere del più alto livello qualitativo. Bisogna dimostrare a quel giornalistucolo ed al direttore che la Cultura, quella con la “C” maiuscola non fa difetto a Valguarnera Caropepe. I professori in ferie non mancano in paese in quel periodo. Se ne va a scovare uno o più d’uno nella sua casa di campagna a Cafeci o alla Montagna (non sappiamo) e lo si incarica dell’opera patriottica. Impossibile tirarsi indietro. Ci si spremono le meningi, si tira fuori il meglio della propria dialettica e della propria erudizione, si scomodano Eschilo e  Benedetto Croce, et voilà, qualche giorno dopo viene sottoposta al sindaco la bozza di lettera che qui di seguito trascriviamo:

 

 

Egregio sig. Direttore,

 

   E' il primo cittadino di Valguarnera Caropepe che le scrive, ed è rosso di vergogna, non perchè è un "caropipano", ma per essere nato e cresciuto in una Italia che purtroppo presta il suo nome alla testata di un giornale che la avvilisce per ignoranza e per superficialità.

Consenta che Le chieda un pò [sic, ndr] di attenzione per esaminare insieme, anche se fugacemente, quel "pezzo" comparso nel Suo quotidiano del 15-16 luglio 1972, intitolato "Carrapipana era..." e firmato "vice".

La fatica principale di questo "vice" deriva dall'alto compito di chiarire il nocciolo della commedia martogliana "L'aria del continente" sulla base de "l'urlo di angoscia (sic!) [questo sic fa invece parte del testo, ndr] emesso da don Cola all'atto in cui apprende la reale origine di Milla". A parte lo sfondo da tragedia, da catastrofe eschilea, scorto con melodrammatico accoramento in un mondo tanto angusto, pieno soltanto di spirito farsesco, quello che colpisce è la compiaciuta sicumera con la quale si asserisce che "Carrapipi è per antonomasia il peggiore paese dell'intera isola, simbolo della più nera sporcizia, della più desolata povertà".

Quanto ad immaginazione, non c'è male; c'è solo da osservare, signor Direttore, che quel Suo "vice", dopo essersi sbracciato per fare il critico d'arte, si è trovato improvvisamente su una via a lui forse più congeniale, quella dell'accattonaggio di sciocchezze che fanno notizia, com'è ormai nell'uso di certo giornalismo dei nostri tempi. A questo punto non basta che Lei gli tiri le orecchie e gli rinfreschi le regole del mestiere, occorre, soprattutto, che lo esima dalla fatica dei "pezzi" di ermeneutica letteraria, chè le di lui postille risultano tanto "allotrie" [allotrio è un termine dotto che sta per estraneo, ndr] (mi consenta il termine crociano) da fare andare in bestia gli stessi autori. Manco male che Nino Martoglio dorma nel suo placido sonno eterno, diversamente, ordinerebbe un buon lavaggio al cervello per il Suo "vice", candido assertore di amenità come queste: "gli abitanti (di Capopepe) considerati dei veri paria, pensarono bene per sottrarsi all'ingiuria, all'infamia che li ricopriva fino al collo non appena pronunciavano il nome del paese, di cambiarne il nome". Qui, oltre tutto, al sottoscritto sorgono legittimi dubbi sulla regolarità sintattica e grammaticale del dettato, oltre che sulla proprietà del lessico. Che non sia a corto di esercitazioni linguistiche il Suo "vice"? Se è così, gli possiamo offrire un posto in una ariosa aula di Caropepe, un paese che oggi vanta il primato siciliano per disponibilità di edifici scolastici. E non mancano gli insegnanti capaci di insegnargli la vera geografia, il buon italiano e le buone creanze, oltre che informarlo sulle reali condizioni umane e sociali della Sicilia.

    I "carrapipani" altro non desiderano che dirozzare e illuminare un uomo della stoffa del Suo "vice" che tanta dimestichezza mentale e spirituale finisce col mostrare con la romana Sgurgola [comune in provincia di Frosinone, ndr] da lui citata. Cosa vuole? E' questione di stile e di civiltà: i paria di questo paese infamante non sanno che reagire così alla provocazione impudente dell'ignoranza.

    La saluto e mi creda.”

 

 

La protesta, come si vede, fu nel contempo intrisa di solida dottrina, di vibrato sarcasmo e di sprezzante indignazione. Ma colpì nel segno o fu solo un nobile sfogo? Non si può escludere che il Signor Direttore dopo aver letto la lettera, abbia fatto chiamare il vice e l’abbia riletta assieme a lui, sottolineando i brani più ricercati con gioiose pacche sulla schiena ed ilari gomitate ai fianchi. O piuttosto tirò le orecchie al malcapitato? Non sappiamo e non sapremo mai, ahimè.

          Trent’anni dopo, l’argomento è tornato d’attualità. Il commediografo valguarnerese Vittorio Spampinato, sostenuto dal Comune e da un gruppo di cittadini tra cui il sottoscritto, sta cercando di controbattere la commedia di Martoglio mediante altra commedia che ha esplicitamente voluto intitolare “Carrapipana è!”. Mi auguro che oggigiorno la divertita bonomia prevalga sul resto. In fondo, basta informare gli ignari siciliani di quanta profumata poesia sia portatore il nome che gli arabi diedero al nostro paese: “borgo del mio amore”. E poi, siamo onesti e cerchiamo di rispondere alla domanda che ho formulato prima. Chi se la sente di scagliare la prima pietra? Chi può sostenere di essere immune dai pregiudizi? Contro i piazzesi, ad esempio.

Enzo Barnabà

 

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