POESIE
di Giuseppe
Loggia
d’argilla nel suo corso tormentato
per discontare quando in Ciel contese
dell’Ente il trono, d’angelo beato
[Endacasillabi risalenti agli anni ’50 e fatti incidere sulla
tomba di Loggia nel cimitero di Valguarnera. Il poeta sostiene di essere la
reincarnazione di Lucifero.]
Com’àura travolta innanzi ai nembi
nei gorghi immersa sei dell’infinito,
rio fato ti mutò a quest’atri grembi,
leggiadro fiore di mie membra uscito.
Dio gioie mi rapisti ultimi lembi,
né più ridarmi sa mondano sito,
né speme ho d’al di là, son fatti sghembi,
e la Concion del Verbo è solo un mito.
Com’iride fuggente balenasti,
da questa bassa sfera di tormento,
squarciandomi orizzonti più nefasti.
col quale, o lacrimata m’indicasti
dell’uomo e delle cose il mutamento.
Valguarnera prima della mia conversione, 15 luglio 1922, giorno
della morte di mia figlia.
ch’errando vai fra queste terree lande,
ti sei mai domandato donde vieni,
chi sei, dove vai e chi t’attende?
Non senti nell’incognito latente,
la voce dell’Eterno, sussurrare,
che del creato sei viva scintilla,
dell’Increato sintesi divina?
Dal cosmico ancestrale, tu non senti
il proiettar dell’energie vibranti
che imprime all’esser tuo il gran mistero
di vita sensitiva e intellettiva?
Fratello mio diletto, deh!, rifletti
su quel che sei, chi fosti e chi sarai
per quella tua potenza intellettiva,
che dessa è del Divin, alito eterno.
Or seguimi, lettor, alza l’ingegno
e a te rivelerò tutto l’arcano
ch’è stato a me dall’Entità svelato.
CANTO
I
Cantami
o spir, le glorie del tuo regno
di
quel regno smarrito, se ricordi;
cantami
dei primordi, il fausto evento,
quando
sortivi dall’Ente Creante;
principio
intellettivo dell’umano
e
l’alma delle cose universali
nella
vibrante eternità presente.
Ma
tu col cieco senso ancor non scerni
quell’alte
facoltà dal Ciel disposte,
poiché
ti s’oscurò l’alta virtude
della
veduta chiara delle cose
dal
dì fatal che misero cadesti.
Ma
se dal Ciel sovvengati qualcosa
e
del processo eterno del creato,
or
canta le dolcezze dell’Arcano;
deh!
Canta, mentre il Ciel te lo concede
che
senza alcun scalpor tu sai cantare.
Su
canta, non seguir l’istinto reo,
essendo
questo l’alma della soma,
vitale
germe cosmico dei gravi,
che
solo è dello scibile vibrante
al
proiettar di tua Celeste Luce.
(…)
[Il
poeta invoca il proprio spirito e gli chiede di ricordarsi del paradiso in cui
viveva prima che, diventando Lucifero, ne fosse cacciato. Senza data, come la
poesia precedente, ma anteriore al 1952]
Le vaghe armonie latenti
cosparsi negli antri infiniti
dai corpi celesti moventi
fa il Verbo canoro gl’inviti
ai cuspidi templi fuggenti
premendo su bronzi sacrati
i mistici palpiti lenti
fra l’etra e l’argilla librati.
(…)
Ahi!, quanti rintocchi ferali
mollati sull’aure meste
d’erranti singulti spettrali
portando le nuove funeste
dai campi d’ingorde contese
infranti in pendoni, comparsi
ai vertici soglie di chiese,
suffragio dei cari scomparsi!
Echeggian pur lugubre l’onde
nei foschi brumali tramonti,
di tetri terrori c’effonde
il cor tra perduti orizzonti.
E quando sta l’alma travolta
dai torbidi nembi smarrita,
se il memore Arcano vi ascolta,
del tocco risorge le vita.
Ahi! Quanti fratelli son privi
di tanto sublime mistero
e d’almo sentire son schivi,
sepolti nel fòmito fero.
Di questi pressanti pensieri
mi dolgo sovente e riedo,
raccolto, ascoltar dagl’etèri
il mio assiomatico Credo
Folgoreggiò su quest’orbe mortale,
Riproiettando i don d’antichi vati,
Ahi! lo stroncò, dell’ago umor letale,
Nel pien… Non colse allori meritati.
Compìto ingegno d’arte letterale,
Equanime, cantor di lazzi ornati.
Soffrì patema fisico e morale,
Con fede, qual gli spiriti elevati.
Ostello di virtù, d’orgoglio schiavo;
Lepido, arguto, forbito scrittore.
Assunse, tra lo stuolo intellettivo,
Nomèa d’inclìto postumo cantore.
Zelo d’amico t’offre un fior votivo,
Alidamente il carme, ardente il core.