di Luciano Pellicciaro
Palermo, 14 Agosto 1968, ore 12. A memoria d'uomo mai sole
d'agosto era stato più ferocemente dardeggiante, e scirocco
più graveolentemente soffocante. La data e l'ora non consentivano
al sole che un leggerissimo sghimbescio sullo zenit, sicchè
il margine d'ombra proiettato dal pur imponente teatro Massimo
non superava i 15-20 centimetri. L'asfalto circostante quasi bollicchiava
emanando miasmi non proprio olezzanti, attraverso i quali le immagini
tremule e ondulanti di cose e persone sembravano originare da
una misteriosa Fata Morgana.
Addossato ad un lato del teatro, col capo reclinato ed appoggiato
al muro per tentare di utilizzare quella parvenza d'ombra, un
individuo piccolo, segaligno e dalla carnagione rugosa e scura
stava ritto e immobile, muovendo solo gli occhi - da dritta a
manca e viceversa - in attesa che qualcuno gli passasse abbastanza
vicino. Trattavasi di Giuseppe Bonocore, applicato in pensione
del Banco di Sicilia.
Il suo vestito 'buono', una volta color melanzana turca, aveva
col tempo assunto variegati e cangianti riflessi viola, tipo melanzana
'nostrale'. Visto da lontano doveva senz'altro sembrare un grosso
scarafaggio, schiacciato al muro da provvida ciabattata.
Il Bonocore, nato e vissuto a Valguarnera Caropepe (dai viciniori
mordaci spregiativamente chiamata Carrapipi). si trovava a Palermo
in quanto, posto di recente in 'quiescenza', aveva deciso di fare
con la moglie, in occasione del Ferragosto, quel viaggio di nozze
che a tempo debito non era stato possibile effettuare.
Il 'cavaliere' - titolo munificamente elargitogli dai suoi compaesani
quasi a compenso della sua bontà e generosità d'animo
- attendeva con fremente pazienza di poter chiedere ad un passante
qualche informazione che gli consentisse di rientrare alla modesta
pensioncina dove la moglie lo attendeva per il pranzo. Ogni tanto
si detergeva, con un un fazzoletto appallottolato ed ormai fradicio,
la fronte e la nuca dalle gocce di sudore che però, come
l'araba fenice, risorgevano quasi subito dalle proprie ceneri.
Ed ecco che, finalmente, il Bonocore vide avanzare verso di lui,
a costa del lato sud del teatro, un tipo alto e corpu= lento il
quale sembrava farsi strada con il placido e sicuro procedere
di un galeone spagnolo. Bonocore, pur se un po' intimorito dall'imponenza
del personaggio, si fece animo, avanzò di un paio di passi
e lo intercettò con un timido e rispettoso: "Buongiorno,
signore.Mi scusi se la disturbo...Vossia potrebbe indicarmi quale
autobus devo prendere per tornare nella zona del porto ?"
Mentre parlava Bonocore aveva notato, più con stupore che
con invidia, come - nonostante la notevole stazza ed il caldo
soffocante - l'individuo avesse un aspetto fresco e riposato,
senza traccia alcuna delle copiose traspirazioni da cui invece
egli era afflitto.
Con affettata bonomia, non disgiunta da quell'ombra di alterigia
che spesso affiora nei palermitani, il passante aveva intanto
iniziato dicendo: "Ecco, se Lei attraversa la strada e prende
il 27...." poi, scrutando bene il Bonocore e con fare prima
incerto e poi sempre più sicuro: "Ma, mi scusi Lei
per caso si chiama Bonocore ?" e poi, subito , : "ma
certo, Lei è don Peppino Bonocore!.....pe' chistu, mi venivi
a canusciri !"
Il cavaliere balbettò con aria basita: "Si...ma perchè,
ci conosciamo ? Io....non sono di Palermo ", quasi a scanso
di equivoci. Ma poi, anch'egli illuminato dal ricordo: "Oh,
sì,certo...Lei è il dott. Santigni, del Banco !".
E poi, anche se l'incontro non lo entusiasmava proprio, Bonocore
tentò di assumere un'aria lieta, anche per adeguarsi all'atteggiamento
pomposamente festevole del dott.Santigni. Scambiati i convenevoli
di rito "come stà ", "cosa fà da
queste parti ", "come stà la signora", ecc,,
il dott. Santigni dopo aver appreso, con malcelata smorfia, in
quale pensione i Bonocore alloggiassero, si espresse categoricamente:
"Ora Lei torna in albergo, prende la sua 'signora' e venite
a pranzo da noi. Questo è l'indirizzo !". Così
dicendo estrasse un biglietto da visita formato cartolina e lo
diede al Bonocore, mettendoglielo nella mano pènzola e
riluttante, quasi per forza. Poi aggiunse, tronfio e imperativo:
"E mi raccomando, prendete un taxi per sicurezza perchè
a casa mia si mangia alle 14 precise !". E se ne andò,
gonfio e maestoso come un tacchino, lasciando Bonocore ritto ed
immobile sotto il sole, il cui calore ora Bonocore non soffriva
più...
Non solo egli era intimorito, sapendo di non essere all'altezza
delle formalità di pranzi al di fuori del suo ambiente,
ma era molto preoccupato per la vistosa falla che le spese da
affrontare (tassì, fiori per la 'signora', dolci per il
pranzo) avrebbero causato al modesto gruzzoletto stanziato per
l'occasione. Tuttavia, la sicumera e la prepotente personalità
dell'interlocutore non gli avevano concesso scampo. Per cui, rassegnato,
le spalle curve, il biglietto da visita ancora tra le dita trèmule,
attraversò la strada per prendere il 27. Strano come questo
numero, finallora gradito ed agognato quale erogatore della "sussistenza
mensile", gli fosse diventato improvvisamente antipatico
!!
Durante il tragitto, mentre ballonzolava nel bus semideserto,
Bonocore non potè evitare che la sua memoria gli sciorinasse,
senza alcun riguardo per il suo amor proprio, gli episodi che
avevano costellato quegli otto lunghi anni, dal 1930 al 1938,
in cui aveva lavorato alle dipendenze del dott. Santigni.
........
Nel 1930 Bonocore, essendo devoto parrocchiano nonchè scaccino
di don Bartolo Li Causi - arciprete in carica a Valguarnera C.
ma nativo di Palermo, dove era bene 'ammanigliato' - era riuscito
a farsi assumere dal Banco di Sicilia quale "uomo di fatica"
della aperienda agenzia del Banco, destinata a soddisfare le esigenze
bancarie degli agricoltori e commercianti locali. A dirigere tale
agenzia venne destinato un fresco laureato di Palermo, da poco
assunto e del tutto privo di esperienza bancaria, e cioè
il Santigni.
Il carattere spocchioso e dispotico di quest'ultimo, stimolato
per di più dal mai prima esperimentato 'potere gerarchico',
non consentivano al Bonocore - già per sua natura remissivo
e per giunta "in prova" - se non un atteggiamento di
totale, supina acquiescenza. Egli avrebbe dovuto svolgere soltanto
le mansioni proprie dell'uomo di fatica: manovrare le saracinesche,
spolverare, spazzare e lavare i pavimenti e il bagno. E invece,
quale unico dipendente, di fatto era volta a volta usciere, fattorino,
contabile, cassiere e non di rado, in quanto nativo del luogo,
addirittura incaricato di attività di sviluppo e promozione
fra i suoi compaesani. Il dott. Santigni invece, assiso dietro
una scrivania sempre coperta di carte di incerta origine e natura,
non faceva che dare ordini e sindacare quasi tutto quello che
faceva il "cavaliere appiedato" (come egli sarcasticamente
chiamava il Bonocore), infliggendogli continue umiliazioni, non
di rado alla presenza dei suoi compaesani. Al che Bonocore tentava
di salvare la sua dignità indirizzando ai presenti sorrisetti
complici e compatitorii, portandosi talavolta l'indice alla tempia
e dando al dito qualche mezzo giro, come per dire:"Bisogna
compatirlo...questi tipi di città sono tutti nevrotici..o
peggio !".
Ma la vera 'pugnalata' arrivò al termine dell'anno di 'prova'.
Bonocore si vide notificare dalla Direzione Generale del Banco
la proroga di un anno del periodo di prova. Ciò, oltre
a significare un ulteriore, pesante periodo di appecoronamento
alle prevaricazioni del Santigni, rinviava almeno di un anno quello
che era l'agognato traguardo di Bonocore: il passaggio dal ruolo
'operaio' a quello 'impiegatizio' sia pure nel primo, e forse
definitivo, gradino di "applicato"; il Santigni giurò
che le "note caratteristiche" lui le aveva fatte buone;
forse alla Direzione Generale avevano equivocato sui suoi termini
riferiti alle 'fattezze fisiche' del Bonocore il quale per la
verità, oltre che magro, scuro e segaligno, era anche vistosamente
ed innegabilmente brutto e malvestito.
Tant'è, però, che il cavaliere dovette suibire per
altri sette anni rimbrotti, umiliazioni e montagne di non pagate
ore di straordinario. Tutto per poter campare una famiglia che,
per qualche ragione non ben chiara al cavaliere, avrebbe aumentato
ogni anno il numero dei suoi componenti qualora la moglie non
fosse stata (come invece era) una ottima amica della levatrice
locale. Ma gli sguardi ed i baci possono mettere incinta una donna
?
Forse non ricordava o rimuoveva, il cavaliere, il fatto che la
sua unica consolazione consisteva nel raccontare alla moglie il
suo martirio giornaliero, quando dopo cena le si sdraiava accanto
sul gran saccone frusciante di foglie di mais. E la moglie, accarezzandogli
la chioma ancora corvina, gli ripeteva: "Tieni duro, Peppino.
Dopo la tempesta viene sempre il sereno !": e, a questo punto,
non sempre il cavaliere si addormentava....!
Come Dio volle, finalmente il dott. Santigni fu trasferito ad
altro incarico, in seguito a promozione conseguita per avere (lui
?!?) avviato e sviluppato con successo la neo-agenzia.
.......
Tornato comunque alla pensione, Bonocore raccontò tutto
alla moglie, ventilando addirittura la proposta di fare le valigie
e tornarsene subito al paese. Avrebbero sempre potuto dire, se
necessario, di avere smarrito il biglietto da visita....Ma la
moglie non volle e si vestì rapidamente mentre Bonocore,
dopo essersi dato una rinfrescata, provvedeva a far chiamare un
tassì.
Arrivati a destinazione, proprio nei pressi del Massimo, si trovarono
di fronte ad un severo palazzotto di 4 piani dal pomposo stile
'inizio secolo', con un grosso e pretenzioso portone di legno
color vomito di cane. Entrarono e, superato un grande atrio, si
avvicinarono all'ascensore pur esso alquaanto tronfio nell'aspetto.
Era abbastanza antiquato, in ferro battuto e legno, con manigliette
di ottone maniacalmente lucide. A contrasto, però esso
era incassato per motivi di sicurezza in un cassone verticale
di camento, come quelli moderni. Il tutto strideva un bel po'
con le eleganti volute della scalinata munita di una bella ringhiera
in ferro battuto sormontata da un lucido corrimano di legno.
L'acuto sguardo 'contadino' della signora Bonocore rilevava ogni
particolare con apparente indifferenza.....
Sulla soglia della porta d'ingresso li ricevette la signora Santigni,
paludata in una vestaglia a grandi fiori rossi e gialli. Anch'essa
era massiccia e dall'aspetto cordialmente antipatico. Offerti
i fiori ed i dolci....dopo i "ma non era il caso"..."non
dovevate disturbarvi" di rito, si passò in sala da
pranzo.
Quest'ultimo non cominciò poi male...Si parlò del
viaggio dei Bonocore e si fecero favorevoli considerazioni sui
motivi che lo avevano ispirato. La signora Santigni, peraltro,
colse subito l'occasione per sottolineare come fosse per un vero
caso che lei ed il marito si trovassero a Palermo in pieno Ferragosto.
"Sa, a Ferragosto noi andiamo sempre fuori: Taormina, Capri,
Cortina, Parigi...Stavolta siamo rimasti bloccati a Palermo perchè
nostro figlio l'altro ieri ha avuto un incidente d'auto e si è
rotto un braccio. Abbiamo dovuto assisterlo per i controlli medici
e le denunce a Polizia, Assicurazione ecc. Le solite formalità...Pensate
che siamo soli soletti in tutto il palazzo! Tutti in vacanza,
anche il portiere...maledetto lui!
Un lampo guizzò negli occhi della signora Bonocore che
però abbassò subito le palpebre e continuò
a mangiare compostamente.
Il seguito del pranzo, però, non fu più così
sereno. Il Santigni, forse anche stimolato dalle abbondanti libagioni,
cominciò a rievocare eventi del periodo di Valguarnera
e non mancò di citare, con sadica noncuranza e malcelato
compiacimento, quegli avvenimenti in cui Bonocore aveva dovuto
subire ingiustizie e soprusi. Cosa che provocava ironiche risatine
della moglie e ben più aperte sghignazzate del figlio.
A conferma che in qualsiasi questione quello che conta è
il 'punto di vista' di chi ha il potere!
Alfine la tortura ebbe termine ed i Bonocore si accomiatarono.
Sulla porta la signora Bonocore si rivolse al dr.Santigni: "Dottore
Le sarei grata se ci accompagnasse giù con l'ascensore.
Come Lei ha più volte giustamente rilevato, mio marito
è un gran pasticcione e non ci sa fare, specie con i pulsanti;
non vorrei causasse qualche danno".
"Ma certo" sorrise comprensivo e magnanimo il dott.
Santigni "venite, venite, penso a tutto io".
Discesi al piano-terra, dopo gli ultimi convenevoli, il dott.
Santigni entrò nell'ascensore ed iniziò la risalita...
Con un balzo felino la signora Bonocore afferrò il martelletto
appeso con una catenella alla cassettina in cui era l'interruttore
dell'ascensore. Con un colpo secco spezzò il vetro con
la scritta "in caso di bisogno rompere il vetro", mugolando
rabbiosa: " e certo che c'è bisogno...e come !",
azionò l'interruttore disinserendo la corrente e bloccando
così la cabina in corsa. Poi, al cospetto di un marito
attònito e terrificato dall'enormità della cosa,
assestò alcune energiche martellate all'interruttore, frantumandolo
e rendendolo inagibile.....
Quindi prese sottobraccio il marito e quasi trascinandolo, visto
il suo stato semi-catatonico, gli disse teneramente: "Almeno
fino al 17 Agosto 'quello...' non potrà muoversi di là.
Vieni, andiamo a terminare in pace ed allegria il nostro viaggio
di nozze."
Messina 24/6/1999