LE STORIE DI ZIO TOTO' PERNICE
di Nino Santamaria
Dal 1960 in poi le cose sono cambiate
radicalmente. I contadini sono fuggiti dalle campagne per recarsi a lavorare
all'estero o nelle industrie del nord del nostro paese, le miniere di zolfo
sono state chiuse, sono scomparse il 90% delle botteghe artigiane e la maggior
parte dei piccoli negozi, a causa della nascita dei supermercati. Queste trasformazioni
hanno ridotto il comune da 15.000 a 9200 abitanti.
E’ grazie alle rimesse degli emigranti,
durate fino alla fine degli anni Ottanta, e alla libera iniziativa di alcuni
cittadini, che il paese sopravvive. Oggi, più di 600 persone, nella maggior
parte donne, lavorano in piccole industrie di abbigliamento. Giacche e
pantaloni per uomo sono esportati in tutte le parti del mondo. Di recente sono
nate altre piccole attività artigianali atte alla fabbricazione di cravatte e
altri indumenti per uomo. Se a tutto questo aggiungiamo i posti di lavoro che
sono stati creati nei servizi e le pensioni che vengono erogate ai cittadini
anziani ed inabili al lavoro, si spiega
come questo comune, pur avendo tanti problemi da risolvere, continua ad
esistere e vivere in un clima di serenità.
Le 9.200 persone finiscono per incontrarsi
per le strade del paese quasi tutti i giorni. Ogni cittadino sa quasi tutto
dell'altro e quelli che frequentano lo stesso Circolo (unico luogo d'incontro
oltre la solita piazza del paese) finiscono per sapere degli altri anche le
cose più intime. Poi vi sono i
personaggi che diventano popolari non per meriti culturali, politici o
sociali ma solo per i loro comportamenti nella vita
quotidiana. C'è il cattivo, il buono, lo scemo, lo sbruffone, l’avaro, la persona di gran
cuore pronta a dare una mano a tutti, c'è poi chi ama poco il lavoro e
preferisce passare il tempo in piazza o al circolo scherzando o litigando con
gli amici. Tra tutti il più simpatico
ed estroso è stato lo zio Toto' detto "PERNICE", che sarà il protagonista del nostro racconto.
Un uomo conosciuto e benvoluto da tutti, tanto che continua ad
essere ricordato a distanza di anni dalla sua morte. Episodi della sua vita
vengono raccontati nei circoli e ciò consente di passare il tempo allegramente.
Zio Totò si arrabbiava per niente, ma la collera gli passava subito.
Scherzava su se stesso e sugli altri. Era un artigiano,
calzolaio, mestiere che non aveva mai amato e che aveva appreso dopo anni di
apprendistato. Lavorare dalla mattina alla sera per pochi soldi non gli
piaceva. La madre con tanti sacrifici gli aprì la bottega di calzolaio e gli
diede i soldi per comprare il materiale per fare le scarpe nuove e per riparare
quelle vecchie. Lui raccontava che era stato un caso quel giorno, che prima di
recarsi a Catania, sia entrato nel
Circolo "du Baturu" dove si stava giocando a zecchinetta e dove perse
tutti i soldi che la madre gli aveva dato. Era destino che non doveva fare il
calzolaio, quel mestiere gli portava
sfortuna, ma ciò non era una giustificazione da raccontare alla madre
per non darle un così grande
dispiacere. Per questo decise di far finta di lavorare tenendo la
"vetrina" nella bottega mentre lui tentava la fortuna al "Circolo
Operai", per recuperare la somma perduta.
Intanto i clienti trovavano la bottega
chiusa con un pezzo di carta paglia affisso sulla vetrina con il seguente
messaggio: "Sono a Catania a comprare la suola per riparare le vostre
scarpe". Nella porta accanto alla bottega, c'era don Antonino il fabbro il
quale, per non far perdere il lavoro al Pernice, prese un paio di stivali da
riparare ad un cliente che avendo trovato la bottega chiusa stava per
andarsene. Zio Totò, continuando a giocare a zecchinetta, quella sera non solo
perse quello che era riuscito a procurarsi per giocare, ma contrasse altri
debiti di gioco. Intanto i suoi amici si stavano organizzando par andare a
mangiare i ceci e a bere un bicchiere di vino nella vicina osteria. Lui, che non
aveva una lira disse: "IL GIOCO, LA
TAVERNA E LA BAGASCIA PORTANO L'UOMO CON LA SACCHETTA LISCIA".
Gli amici che avevano capito
tutto gli dissero: <<Puoi venire paghiamo tutto noi>>. Zio Totò li
pregò di attendere: <<Vado un attimo a chiudere la bottega e vi
raggiungo>>. Mentre stava per chiudere la bottega don Antonino il fabbro
gli disse che aveva pensato di ritirare un paio di stivali da riparare per non
fargli perdere il lavoro. Zio Totò incazzato rispose: <<se siete capace
li riparate voi, visto che nessuno vi ha pregato di lavorare per me>>.
Così lasciandolo di stucco corse verso la taverna e raggiunse gli amici. Quando
si sedette al tavolo, tutto allegro disse:
"TAVERNA VITA ETERNA".
Dopo quella brutta
esperienza, zio Totò, decise di non giocare più d'azzardo, solo passatempi, in
modo da non perdere somme di una certa importanza. Così tutti i giorni si
recava al Circolo a fare la partitella a primiera. Ma anche così perdeva
sempre, e una lira oggi una lira domani la cosa incominciava a farsi
pesante.
Era il 19 marzo, festa di
San Giuseppe, protettore degli artigiani, quindi anche del Circolo Operai
denominato appunto "Circolo Operai San Giuseppe". Gran ricorrenza e
festa importantissima a Valguarnera. Zio Totò quella mattina, arrivò al Circolo
verso le ore 10 vestito a nuovo e con aria allegra. Il suo compagno di gioco,
giacché vinceva tutti i giorni, già lo
aspettava e quando lo vide arrivare si
fece dare le carte dal commesso del circolo per iniziare la partita.
Zio Totò che non era un
fesso gli disse: " Lo so che mi aspetti per togliermi i soldi, ma
ricordati che in questo mondo le salite sono tante quanto sono le discese.
Comunque vista la ricorrenza, voglio fare un giuramento a San Giuseppe" e
inginocchiatosi sotto il quadro giurò: "San Giuseppe se perdo pure oggi non toccherò più carte
per tutta la vita".
Si diede, così, inizio alla
partita che doveva essere la partita della vita di zio Totò. Tutti i soci del
circolo smisero di giocare e di discutere per assistere a quell'importante
sfida. Zio Totò volle mettersi con le spalle al muro in modo che nessuno
potesse vedere le sue carte evitando così brutti scherzi. Intimò a tutti i
presenti di fare silenzio e a non dare
suggerimenti. La posta doveva essere sul tavolo, e se qualcuno fiatava
era pronto a risolvere la questione anche in modo violento.
Tutta la partita si svolse
dunque nel massimo silenzio, si sentivano volare le mosche. I presenti,
naturalmente, in cuor loro speravano che perdesse zio Totò, ma non dovevano
farlo capire. Tutti volevano vedere se poi avrebbe rispettato il giuramento.
Quando la partita ebbe termine con la sconfitta di zio Totò, il silenzio si fece più cupo, lui guardava tutti in faccia sperando che qualcuno dicesse una parola per dare inizio ad una lite. I presenti, uno per volta, abbandonavano la sala e scoppiavano a ridere sul marciapiede della piazza.
Con il passare dei giorni zio Totò riprese il suo solito allegro umore ma di giocare non se ne doveva parlare. I giuramenti sono sacri: a chi lo invitava a disputare una partita a carte rispondeva che il mondo non è fatto solo d’uomini ma anche d’uomini senza parola e lui non faceva parte di quella categoria. Intanto si accorse che da quando non giocava non gli era mai capitato di rimanere senza una lira e quindi a chi lo invitava a giocare faceva sentire il suono delle monete che aveva in tasca.
Tutti i soci del Circolo erano sorpresi della fermezza del "Pernice" tanto che la voce si sparse per tutto il paese e quando gli amici lo incontravano si complimentavano con lui il quale ringraziava facendo sentire il suono delle monete. Vincenzo, un suo giovane amico, era pronto a scommettere che zio Totò avrebbe resistito al massimo una settimana ancora. Così s'incominciò a scommettere e quindi la cosa diventò quasi un problema cittadino.
Il tempo scadeva la sera di
Pasqua. I giorni passavano ma il Pernice resisteva anche alla tentazione di
tutti quelli che volevano farlo giocare per vincere la scommessa. Tra la
sorpresa generale, si arrivò alla mattina della Santa Pasqua. Vincenzo che era
quello che più di tutti non credeva alla resistenza di zio Totò, aspettava che
lo stesso arrivasse al circolo per
giocare l'ultima carta.
Il Pernice arrivò, quella
mattina, tutto allegro e subito Vincenzo gli lanciò la sfida affermando che lui
non giocava più a carte perché finalmente aveva capito di non essere
all'altezza. Zio Totò si fece una risatina e gli fece sentire il suono delle
monete. - Allora poiché è problema di
soldi- disse Vincenzo - qui ci sono 5.000 lire contro mille lire da parte sua.
- Il Pernice rispose accennando ad una canonica dell'epoca. Vincenzo rilanciò:
10.000 contro 1.000 lire e questa era l'ultima offerta. Con un colpo secco mise
sul tavole le carte e una banconota da 10.000.
In un attimo zio Totò aveva
messo le sue 1.000 lire sul tavolo ed era già pronto a giocare. Intanto che
Vincenzo mescolava le carte, lui chiamò il commesso del circolo e gli disse: "Don Calogero, per cortesia,
giri il quadro di San Giuseppe dall'altra parte".
DUE CARRIERE
STRONCATE DALLE DONNE
Gli anni del fascismo sono stati duri per tutti, in particolare modo per
quelli che hanno lasciato le famiglie per andare in cerca di fortuna in Africa.
Anche zio Totò emigrò in Africa Orientale in qualità di Vigile del Fuoco. A
sentir lui, però, il periodo che trascorse in
Africa fu un vero divertimento.
Non finiva mai di raccontare le
sue avventure con le giovanissime
ragazze di colore. Per questo motivo i soldi che guadagnava non bastavano mai:
spesso, diceva, doveva dare da mangiare ad intere tribù che in cambio gli
concedevano decine di donne.
Era quindi costretto ad
arrangiarsi inventando chiamate ai vigili del fuoco per spegnere incendi
immaginari. Allora con qualche suo collega, partiva a grande velocità e a suono
di campana per andare a vendersi l'autobotte d'acqua, liquido ricercatissimo in
quelle zone: solo così, raccontava,
poteva permettersi il lusso di avere un vero e proprio harem.
Certo che quando raccontava le
avventure galanti la sua
fantasia lavorava al massimo, come quella volta che andò a suonare a
Caltanissetta con la banda comunale.
Lui suonava i piatti e quindi, per disposizione del maestro, si collocava
nell'ultima fila della formazione. Mentre girava per le vie della città
nissena, la banda musicale valguarnerese faceva una piccola sosta in alcuni
punti del centro, e fu proprio in occasione di una di quelle soste che notò una
donna meravigliosa affacciata ad un balcone. La cosa più tremenda era che
guardando da sotto riusciva a vedere non soltanto le gambe dritte e sode ma
anche quello che c’era in mezzo, dato che la signora stava lì ad ascoltare
appassionatamente la musica avendo dimenticato di indossare le mutande.
Il
Pernice – così lui stesso raccontava - non aveva mai visto una cosa del genere
e non capì più nulla. Finita la sosta, la banda incominciò a muoversi lui
infatti non se ne accorse. Rimase quindi da solo sotto quel balcone a suonare i
piatti e a godersi tutto quel bendidio. A questo punto sia la signora del
balcone che il marito capirono tutto, incominciarono a gridare improperi contro
di lui e armatisi di bastoni scesero in strada in cerca di zio Totò il quale a
quel punto si era squagliato andando
dritto dritto alla stazione ferroviaria per prendere il primo treno che
passava.
Il marito della donna, affiancato da amici e
parenti furiosi quanto lui, raggiunse quindi la banda e si avventò contro i
poveri musicanti i quali, pur non rendendosi conto di quello che stava
accadendo, cercarono di difendersi con le sole armi che avessero in dotazione:
gli strumenti musicali. Insomma, una rissa di massa, mentre zio Totò viaggiava
tranquillamente in treno verso Valguarnera.
A Caltanissetta solo con l'intervento delle forze dell'ordine si chiarì
tutto, ma zio Totò dopo alcuni giorni fu espulso dalla banda musicale. In
conclusione, come lui stesso raccontava, gli furono stroncate le carriere di
Vigile del Fuoco e di musicante a causa delle donne.
IL PESCE FRESCO
Con
il passare degli anni zio Totò riuscì a trovare il lavoro che aveva sognato per
tutta la vita. Vi riuscì ad una certa età e questo gli consentì di vivere bene
fino a quando non andò in pensione. Non si sa come fece ad associarsi ad una
cooperativa di pescatori vivendo in collina a decine di chilometri dal mare. Il
suo lavoro consisteva nel vendere il pesce che portavano da Licata nella
pescheria comunale di Valguarnera. Ciò avveniva tre volte la settimana. Il
lavoro iniziava alle sette del mattino e finiva con la pulizia della pescheria
(un vano di 15 mq.) poche ore dopo, alle 11. Si trattava, quindi, di lavorare
per non più di dodici ore la settimana.
Il
Pernice capì che un’occasione così non si sarebbe più presentata e che doveva
stare attento a non perdere il posto di lavoro. Pertanto cercò di farsi amico
con tutti i politici del paese. La pescheria era del comune ed era quindi
meglio avere qualche santo in paradiso. Così si iscrisse al Partito Socialista
di Saragat, ma dentro il circolo operai parlava in favore della Russia
comunista, e quando c'erano le elezioni amministrative votava per un parente
candidato al Consiglio Comunale nella lista della Democrazia Cristiana.
Un
giorno, un carrapipano che lavorava all'estero decise di fare ritorno al
proprio paese e per vivere gli venne "l'infelice" idea di aprire una
rivendita di pesce. Non sapeva certo quale ostacolo avrebbe trovato nel
Pernice, il quale venuto a conoscenza del fatto che stava per arrivare un
concorrente, fece il giro delle case di tutti gli amministratori comunali per
impedire che a quel signore si concedesse la licenza. Ai democristiani, ai
socialisti e ai socialdemocratici, partiti di maggioranza, disse che se
avessero fatto aprire un'altra pescheria non avrebbe più votato per loro. Ma
malgrado le sue pressioni nessuno poté far niente, visto che il richiedente
aveva tutte le carte in regola ed anche i suoi santi protettori .
Venne
così aperta un'altra pescheria. Per il Pernice furono momenti drammatici. Nei
primi tempi non guardava in faccia nessuno, si sentiva tradito. Come spesso
accade, quando si apre una nuova attività commerciale, si fanno prezzi più
bassi e si vende merce buona per attirare la clientela. Così, sia per tutto
questo che per la curiosità di visitare la nuova pescheria, la gente abbandonò
zio Totò. Quello che in quei giorni gli usciva dalla bocca contro i compaesani
non si può ripetere. A quei pochi che andavano a comprare il pesce da lui
faceva mezz'ora di discussione, raccontando che la sua sfortuna era dovuta al
fatto di essere nato in un paese di cornuti e che mai più avrebbe portato pesce
fresco a gente che andava a comprare pesce puzzolente da quel
"viddanu" incompetente venuto dall'estero.
Lui
era dispiaciuto in particolare per gli amici più intimi poiché prevedeva
decessi di massa per intossicazione da pesce. E continuava dicendo: "Ma
quantu m’ava custari di sciuri pi tutti sti funerali?".
Intanto
i giorni passavano e i clienti incominciavano a ritornare e lui quando
arrivavano diceva: "Ringraziati u Signuri si siti ancora vivi".
Comunque la concorrenza era spietata il prezzo del pesce era calato almeno del
50%. La gente era contenta in quanto risparmiava ed acquistava un prodotto
migliore, e qualcuno, per fare incazzare il Pernice, gli diceva: "Finiu u
monopoliu".
Una
mattina un noto agricoltore uscì di casa per andare in pescheria a comprare il
pesce. Un chilo di "masculina". Il Pernice, sempre di cattivo umore,
gli pesò il pesce e gli disse: " A masculina è rialata pi comi è frisca
". L’agricoltore si incamminò verso casa e già pensava di dire alla moglie
che il Pernice aveva garantito che il pesce era freschissimo e che poteva
mangiarsi crudo. Mentre pensava a queste cose, si sentì chiamare :
"Bastianu veni cà, prestami a masculina chi facimi u scherzi o
Pirnicci". Era Vincenzo, il fontaniere comunale, uno che come si dice
dalle parti nostre "ci smangia u culu", che spesso si divertiva a
fare incazzare zio Totò, al quale piaceva litigare e fare la pace continuamente
con il suo amico provocatore. Vincenzo fece nascondere i Bastianu dietro la
pescheria e con in mano il pesce, avvolto in carta paglia, si presentò davanti
la finestra della pescheria, da dove il Pernice serviva i clienti.
"Zzìu
Tatò" disse, "m’ava scusari si haiu cattatu a masculina nell'autra
piscaria, ma è cosa di mangiarisi cruda, tantu è frisca". Zio Totò lo
guardò dall'alto in basso muovendo il capo : "Minta u pisci ca supra chi u
vughiu taliari, e fammi a cortesia, svoghialu tu ca mancu u vughiu tuccari, già
sintu a puzza". Così Vincenzo scartò il pesce. Il Pernice lo guardò, prese
un pezzo di legno e girò un pesce dall'altra parte, fece un salto di mezzo
metro all'indietro e con voce alta, in modo che tutti potessero sentire disse :
" Ringrazia u Signuri ca si fighiu di un grandi amicu miu ed è pi chistu
ca non tu biu na faccia. Ti prigu, leva sta fitinzia cà mi stai impuzzannu a
piscaria ". Mentre parlava si turava il naso e gridava sempre più forte: "
U viddanu " (il proprietario dell'altra pescheria), " sta mazzannu un
paisi cu tuttu stu pisci fittusu chi porta a Carrapipi ".
Il
cliente che aveva ascoltato tutto, nascosto dietro l'angolo della pescheria,
andò su tutte le furie. Con un balzo si presentò davanti al Pernice e a voce
alta disse: "Caru Pirnici ora stu pisci su mangia vossia, a mia mi torna i
sordi e chista è l'ultima vota ca vignu ca a cattari u pisci". Zio Totò
per un attimo rimase stordito per quello che gli avevano combinato. Vincenzo fuori
rideva come un pazzo, ma quando vide lo sguardo di zio Totò si mise a correre e
il Pernice gli correva dietro con il coltello che usava per tagliare il pesce .
"Si un omu mortu", gli gridava. Ma poi stanco di correre si fermò, e
mentre ritornava indietro verso la pescheria il sangue gli si raffreddava e
rifletteva sullo scherzo che gli avevano fatto. A forza di pensarci scoppiò a
ridere e tra sè e sè diceva: "Figghiu di buttana...figghiu di
buttana", e rideva come un pazzo, tanto che quelli che lo incontravano gli
chiedevano: "Ziu Totò, pirchì rriddi sulu ? ", e zio Totò rispondeva:
"Pi sta minchia".