di
Sebastiano Messina
Dal 1968, col simbolo di un partito che si chiama Sos, Armando si candida a tutte le elezioni che Dio manda in terra: consigliere comunale, sindaco, consigliere provinciale, deputato regionale, parlamentare, eurodeputato, “e nel 1992 ho preso persino tre voti come presidente della Repubblica, tre senatori che scrissero il mio nome sulla scheda”, racconta.
Non s’è perso una campagna elettorale, una caccia al voto tra i
bar del paese, una coda al Viminale, uno spoglio in prefettura. Purtroppo tanto
sforzo non è stato premiato. Mai, neanche una volta, neanche per sbaglio,
neanche per un subentro, ha conquistato una sola poltrona. Mai ha rischiato di
essere eletto. E tuttavia mai ha detto: getto la spugna. E lo stakanovista del
comizio, il maratoneta delle elezioni, il recordman delle battaglie perse.
ARMANDO Piano del Balzo, di
anni 58, orgoglioso di essere “il
nipote del conte di Procida” ma soprattutto “il fondatore e leader indiscusso”
(oltre che unico iscritto) del partito Sos, “il giustiziere d’Italia e
generalissimo del Fronte Nazionale di Liberazione”, è un vulcano in eruzione
che ha il suo regno nella piazza di Valguarnera Caropepe, un paesino sospeso
nel tempo tra l’autodromo di Pergusa e i mosaici di Piazza Armerina.
Naturalmente, non è quello che si dice un politico di professione.
Se gli chiedete cosa fa nella vita, lui vi risponde, nell’ordine: musicista,
pilota di formula 3, aviatore, scrittore, produttore cinematografico. Se lo
domandate all’anagrafe, dove la vita è un modulo, vi risponderanno con aridità:
impiegato comunale in pensione. In mezzo, tra i sogni e le scartoffie, ci sono
lui e il suo partito Sos, sigla che alla fondazione del movimento significava
Subito Occorre Soccorso, poi cambiò significato in Seguitemi Ottimi Siciliani,
e oggi vuoi dire Squadra Operativa Speciale: mentre gli altri cambiano nome,
Armando al suo c’è affezionato e cambia solo il significato. Naturalmente, ha
anche un simbolo: una stella (“Una stella con cinque pallettoni intorno”
precisa lui). E uno statuto, il cui articolo 1 é riportato sulla carta
intestata: “Il giudizio del fondatore è insindacabile e inappellabile. Il
fondatore ha i pieni poteri in seno al partito”. Nessuno degli iscritti l’ha
mai contestato. Per una ragione, come dire?, tecnica: lui non ha mai aperto le
iscrizioni. La sede ufficiale è casa sua, e non ha telefono: per i reclami
rivolgersi al “generalissimo”. Lui è il candidato presidente. Lui è il
capolista. E gli altri tre candidati non muovono foglia che lui non voglia. Di
nome si chiamano Francesco, Maria e Patrizia. Di cognome Piano del Balzo: sono
figli suoi.
Il suo è dunque un partito monoposto, o tutt’al più familiare.
Quando il governo indice le elezioni, Armando prende il treno per Roma,
deposita il simbolo, presenta il certificato di buona condotta e aspetta che la
polizia gli notifichi, in albergo, il via libera del Viminale. Poi torna in
paese, si piazza davanti al bar 2001 e raccoglie le firme per la lista. Quando
ha finito, fa il pieno di gasolio alla sua eroica Mercedes bianca del 1982 e
carica un altoparlante e quattro rotoli di manifesti nel cofano: non gli serve
altro, per la sua campagna elettorale. “Faccio tutto io” spiega. “Attacco i
manifesti, distribuisco i volantini, tengo i comizi. Nessuno mi aiuta. I figli?
Sei sono femmine, non saprebbero da dove cominciare. E il maschio ha due
bambini a cui pensare. Ma io non ho bisogno dell’aiuto di nessuno. L’oratoria è
mia, il microfono è mio, se devo fare un comizio salgo sulla motoape di un
venditore ambulante, comincio a parlare e subito si ferma un popolo: sono una
mitragliatrice di parole, nessuno fiata. A Barrafranca l’altra volta dopo il
comizio mi hanno portato in trionfo”.
E i voti? “Quella è una scienza occulta, ogni volta é una
sorpresa” risponde Armando allargando le braccia. “Solo sei voti sono sicuri,
quelli dei maggiorenni di casa mia. Ogni voto in più è un apostolo che ha
deciso di seguirmi”. La regola numero uno di Armando Piano del Balzo è non
obbedire a nessuno: “Sono allergico agli ordini”. La regola numero due è non
accettare mai una lira di finanziamento, né dallo Stato né dai privati: “Certo,
con i soldi degli altri a quest’ora sarei stato eletto. Troppo comodo, grazie
tante. Poi però sarei stato ricattato, perché nessuno fa niente per niente.
Perciò, anche se non ho mille lire in tasca, io non ho mai bisogno di soldi”.
Eppure fu per una storia di denaro che lui, come direbbe un più fortunato self-made-man,
scese in campo. Una storia cominciata con la sua rocambolesca avventura alla
ricerca del padre, disperso in Abissinia nel 1939, quando Armando aveva due
mesi. Per 26 anni la madre si affacciò tutte le sere alla finestra, cercando
ogni volta l’ombra del marito sulla strada di casa. Finché un giorno lui le
disse: “Vado io a cercarlo, e te lo riporto qui, vivo o morto”. Senza una lira
in tasca, partì in autostop e attraversò la Germania e la Francia cercandolo
fra gli emigrati, poi salì verso l’Inghilterra e scese fino in Siria. Da lì
arrivò in Africa, vagando di città in città, di deserto in deserto. Ma alla
fine trovò il corpo del padre, in Etiopia, sotto una montagna di cadaveri senza
nome. E lo riportò a Valguarnera.
Da quel giorno, in paese lui è una leggenda che cammina. Un mito che nell’impatto con la realtà finì rapidamente nelle mani degli usurai. E prima che lui se ne rendesse conto, le case di sua madre furono tutte pignorate. “Non è giusto” disse Armando, e per avere giustizia si candidò alle elezioni comunali. La prima volta prese 34 voti. Erano pochi ma sarebbero bastati, se un altro candidato socialista non ne avesse raccolti altrettanti. E siccome quello era più anziano, il seggio toccò a lui. Da allora il candidato Piano del Balzo non ha mai saltato un’elezione, s’è battuto per il Partito Italiano Autonomo o per Sicilia 2000, per il Partito Esecutivo Nazionale o per Alleanza Mediterranea, e alla fine solo per il suo partito Sos, “nel ‘94 ho fatto comunali, provinciali, nazionali ed europee”. Il suo programma piace alla piazza: “Punto primo, arrestare entro mezz’ora delinquenti e usurai. Punto secondo, trovare il tesoro che c’è sotto la nostra terra, gas e petrolio. Punto terzo, costruire tante fabbriche nelle campagne di Enna. Non serve l’aiuto dello Stato, faccio un film sulla mia vita e gli incassi li spendo tutti per la mia gente”.
Balle, dicevano gli altri. Ma i voti, poco per volta, sono
cresciuti. Alle provinciali di quattro anni fa erano diventati 1620. “Comunque,
meno voti prendo e più feroce divento. Loro mi cacciano dal portone e io
rientro dal finestrino. E ai miei paesani che non mi votano io dico: voi valete
meno di un cerino, perché il cerino si può fregare una sola volta, ma voi vi
fate fregare sempre”.
S’è fatto tardi, tra un’ora Armando ha un comizio. Si aggiusta i
pochi capelli, risale sulla Mercedes e mette in moto. Poi, affacciandosi dal
finestrino, lancia il suo avvertimento: “Il primo che mi dà del trombato io lo
querelo. Per essere trombati bisogna perdere una poltrona. E io non ne ho mai
avuta una. Sono solo un candidato che non ha avuto fortuna. Ma io non mi fermo,
sono come Mandela. Se queste elezioni vanno male non importa, è solo un
allenamento. Io punto più alto”. Dove? “Al Quirinale, amico mio. Appena scade
Scalfaro mi troverà in prima fila. Stavolta vota il popolo, no? E il popolo non
mi tradirà. Ho fatto un sogno...”.