I TOCCA

di Beatrice Vacirca Arena

 

I tocca venivano considerati un gioco d’azzardo, ma era diffuso nelle osterie come oggi i video giochi nei bar. Di lontana e ignota origine era il gioco preferito da tutti gli habitué delle osterie. La definizione era facoltativa e a Valguarnera i nostri vecchi e buontemponi antenati non andarono tanto per il sottile nella scelta della definizione poco specifica e poco appropriata, puntando più sulla facilità di comprensione a tutti i futuri "cultori". L’unica discordanza sta nel nome anziché al singolare, grammaticamente più corretto, al plurale, come a voler sottintendere che si sarebbe dovuto ripetere più volte il gioco perché avesse più senso e anche più gusto. Il regolamento "Codice di Bacco", permetteva piccole variazioni del momento a scelta e discrezione dei giocatori.

Il rischio dei tocca non consisteva tanto nella perdita di denaro, quanto nella perdita della cognizione e anche della dignità, (secondo chi giudicava e da quale punto di vista). In ogni modo a Valguarnera erano solo i giocatori che lo praticavano a non avere pregiudizi, mentre il resto della popolazione forse per invidia o per eccesso di virtù, lo condannava né più né meno del gioco della zicchinetta, del biliardo, delle carte, e di tutte quelle forme di passatempo che comunque erano considerati vizi biasimevoli a tutti gli effetti.

Il gioco avveniva tra un gruppo di persone che avevano versato un tanto per comprare una quantità di vino; poteva essere un litro o più. La cannata con la bevanda e un bicchiere stavano al centro del tavolo intorno al quale si raggruppavano i giocatori che facevano la conta con le dita, partendo dal più anziano in segno di rispetto.

A colui che usciva, ossia al sorteggiato, spettava di bere un bicchiere, se la quantità non superava il litro, di più se la quantità era di più, ma se in vena di beneficenza, lo poteva offrire al giocatore che in quel momento lo ispirava di più. Inoltre, doveva eleggere un padrone e un sotto padrone che acquisivano il potere sul contenuto della cannata per tutta la durata del gioco. Naturalmente eleggeva o un suo amico o uno a cui lo aveva promesso, e se poi voleva divertirsi eleggeva come sotto padrone un antagonista del padrone.

Il padrone aveva diritto di bere tutto il vino senza chiedere permesso a nessuno, a patto che lo bevesse tutto d’un fiato, in altre parole senza staccare le labbra dal bordo del boccale:. Se non aveva smaltito del tutto il rancore di giocate precedenti, in cui lo avevano lasciato urmu, come a dire a bocca asciutta, se lo scolava tutto per rifarsi dalla delusione o più semplicemente per vendetta. Per riuscire a bere in apnea , metteva in atto lo stratagemma di prendere fiato con il naso senza farsi accorgere, e c’era chi ci riusciva perché allenato dalla frequenza dell’esperimento. Il quel caso il bello finiva lì , il gioco pure.

Questo fino a quando non giunse lo schifiltoso dell’era moderna che, con il pretesto di rispettare le norme igieniche, apportò una piccola e complicata modifica; la "bivuta" non doveva più avvenire nella cannata, bensì nel bicchiere mentre il vino veniva versato: dunque con una mano il giocatore teneva il bicchiere, con l’altra versava il vino, bevendo in contemporanea come in una specie di catena di montaggio. La fatica e la difficoltà erano tali da rendere impossibile il consumo dell’intera quantità di vino ma in compenso la continuità del gioco era assicurata.

Quando il padrone non faceva man bassa, si poteva procedere con il gioco: egli cominciava a offrire un bicchiere ad un giocatore di sua scelta ma doveva chiedere il permesso al sotto padrone, e qui cominciava una serie di consensi e dissensi che rendevano il gioco tanto colorito per l’uno, quanto irritante per l’altro

"Posso dare questo bicchiere a Tizio?" " A Tizio?" – rispondeva il sotto – ma neanche se mi portassero al confino, piuttosto mi faccio cavare un occhio"

Si passava a Caio e il sotto poteva rispondere con un altro rifiuto " Caio oggi il vino lo vede solo col binocolo, al massimo glielo posso fare annusare". Il sotto poteva continuare con questi dinieghi personalizzati fino a che il prescelto dal padrone non era di suo gradimento, cosa improbabile perché tra i due si veniva a creare una specie di "currivo" e l’amico dell’uno diventava immancabilmente il nemico dell’altro.

Questo comportamento del sotto poteva avere lo scopo di costringere il padrone a dividere il vino a metà e, come da regolamento, scegliere la parte che reputava più abbondante, scolarsela sotto gli occhi inferociti di chi aveva sperato fino all’ultimo di "bagnarsi a bucca" e chiudere la partita. Il vero gioco cominciava nel giro successivo, quando si erano create le inimicizie, capite le complicità, formate le squadre simpatizzanti e si potevano attuare le vendette di chi aveva subito l’affronto della sete. Inutile dire che, come ogni gioco che si rispetti finiva con amicizie rafforzate i inimicizie più accanite. Poteva succedere persino che qualcuno più "sfirriusu" aspettasse fuori colui che il vino glielo aveva fatto desiderare, per fargliele "tastare", e in quel caso c’era chi tornava a casa oltre che brillo pure tumefatto.

Anche il gioco dei tocca può vantare un suo eroe a Valguarnera: un giocatore, tanti anni fa, accecato dall’odio per non aver assaggiato neanche una goccia di vino, aveva atteso che il responsabile venisse fuori e lo aveva accoltellato. L’assassino fu condannato a diciassette anni di carcere con l’attenuante di essere sotto l’effetto dell’alcool, quando in verità l’omicidio era stato commesso per il motivo opposto: esattamente perché proprio "quell’effetto" gli era stato negato.