ALL’EPOCA DEI
CAVALIERI
di Francesco e
Silvia Giarrizzo
Soleva dapprima dire, intendendo soltanto di se
medesimo, che il governo della cosa pubblica, potere, privilegi, onori spettano
al più abile per forza di ingegno e naturale disposizione, dove l'una e l'altra
erano in lui scaltrezza e calcolo dei sentimenti e delle occasioni; e poi che il
potere è un attributo del censo...
Fece la scelta, giustificandola... con la necessità
di rafforzare il partito..., ma in realtà mosso dal momentaneo profitto e dalle
maggiori probabilità per il futuro di sorpassare gli altri..., fino ad essere
il solo arbitro....
Delle cariche era certo di disimpegnare gli
obblighi per il solo fatto di occuparle e confondeva della propria umanità il
gioco incessante col bene e l'utilità popolari...
Degli uomini si serviva finché gli tornava conto e
non gli davano ombra; e disfacendosi degli irriducibili o emuli si circondava di
degni scagnozzi per i suoi colpi mancini.
Francesco
Lanza Ritratto di uomo politico
II.1
La vita sociale di Valguarnera, nei due decenni successivi alla sommossa
popolare del 25 dicembre 1893, fu vieppiù priva di sentimenti e di emozioni,
contrassegnata «dalle mene politiche, dalle ottuse ambizioni e dalla dozzinale
astuzia» di pochi protagonisti.
La
«furbizia del notabilato locale e il tornacontismo
di alcune squallide consorterie» furono le tipiche espressioni della pessima
interpretazione che venne data nel paese del sistema rappresentativo e della
democrazia liberale, prima del loro crollo sotto i colpi di scure del fascismo.
All'epoca
dei Fasci era sindaco del Comune Gaetano Prato, appartenente alla più ricca
famiglia del paese, eletto e sostenuto da un Consiglio Comunale quasi unanime,
composto dai rappresentanti delle famiglie più «nobili» o «civili» della
comunità e da qualche loro adepto.
Sin
da prima della formazione dello Stato unitario, alla amministrazione del Comune
e ai vertici degli enti morali ed economici esistenti in Valguarnera (il Monte
Frumentario F. M. Castellano sorto prima, la Congregazione di Carità e
l'Infermeria Civica istituite dopo) si succedevano gli esponenti delle famiglie
più altolocate e i loro affiliati; essi, dopo l'Unità, si insediarono in
permanenza anche negli organismi interni del Comune considerati di massima
importanza per i fini personali e clientelari, quali le commissioni per
l'edilizia privata, per le imposte di famiglia e sul valore locativo, per la
tassa sugli esercizi commerciali, per la vigilanza nelle scuole, per le imposte
dirette.
Dopo
i fatti del 1893 il Municipio venne ipotecato, ancora per venti anni, dagli
stessi notabili e maggiorenti e dai loro parenti e affini, con l'inserimento
ogni tanto - attraverso la farsa delle elezioni amministrative - di singoli homines
novi, più propriamente clientes,
persone di fiducia, depositari dei segreti e gendarmi delle posizioni
strategiche dell'uno o dell'altro capo-clan.
E'
facile constatare tutto ciò fermando l'attenzione sui nomi dei sindaci , degli
assessori municipali e dei consiglieri comunali riportati in appendice, molti
dei quali occupavano un grado elevato nella scala sociale ed erano decorati di
un'insegna cavalleresca.
E'
da tener presente, peraltro, che alla fine del secolo XIX il numero di cittadini
valguarneresi iscritti nelle liste elettorali era molto basso, 718 al 27 giugno
1894 e 712 al 3 novembre 1899, appena il 5% della popolazione residente (nel
comune di Enna la percentuale era del 3,9 %).
Il dato varierà negli anni successivi solo di qualche unità, sino a
quando nel 1912, con il suffragio elettorale allargato voluto da Giolitti, sarà
accordato il voto a tutti i cittadini maschi a 30 anni di età e a coloro che -
avendo compiuto 21 anni - si fossero trovati in possesso di particolari
requisiti.
La
popolazione residente a Valguarnera intorno al 1895 era assai numerosa, avendo
raggiunto 14.000 abitanti; il diritto al voto, però, era attribuito a coloro
che si trovavano in particolari condizioni economiche e culturali. Potevano cioè
votare limitate categorie di cittadini maschi, che possedevano un certo grado di
istruzione e un certo patrimonio (censo), per cui pagavano allo stato un
determinato tributo diretto.
Ecco
perché le liste elettorali, manipolate per di più dalla Giunta Comunale,
contenevano solo alcune centinaia di nomi, ma il numero degli eleggibili alle
cariche pubbliche municipali era di gran lunga inferiore, ristretto a poche
decine di uomini, selezionati attraverso le occulte manovre operate dai capi a
favore di coloro che erano più accreditati per il legame clientelare cui
sottostavano ed erano, per questo, considerati capaci di farsi portatori e
garanti degli interessi delle famiglie dominanti.
Una
conferma dell'assunto si ha raffrontando i nomi dei consiglieri e assessori comunali del ventennio 1893-1913 e
l'elenco dei venti maggiori contribuenti del paese, compilato dal commissario
regio (verbale n.18 del 24 marzo 1914) ai fini della nomina della commissione
amministrativa del Monte Frumentario "F.M. Castellano".
L'elenco
dei maggiori contribuenti, in relazione al patrimonio e alle rendite immobiliari
possedute, era formato dai seguenti nomi: Battiato Pier Francesco, Boscarini
Mariano, Consolo Sebastiano, Costanzo Antonino, Di Gregorio Gaetano, La Delfa
Filippo, La Delfa Francesco Paolo, Lanza Giuseppe, Lombardo Gaetano, Oliveri
Pietro, Piazza Mariano, Prato Carlo, Prato Francesco Paolo, Prato Giuseppe,
Prato Boscarini Giuseppe, Prato Luigi, Serra Raffaele, Scarlata Antonino, Scoto
Antonio, Spina Filippo; come si può ben notare, i nomi erano quelli delle
persone che amministravano il Comune o di loro stretti congiunti.
La
legge elettorale prevedeva all'epoca la decadenza - trascorsi due dei quattro
anni di durata in carica - di un terzo dei componenti il Consiglio Comunale, che
dovevano essere surrogati mediante elezioni parziali; i nomi dei consiglieri da
sostituire venivano sorteggiati.
Poteva, quindi, succedere (e in più occasioni si verificò) che
decadesse persino il consigliere che esercitava le funzioni di sindaco, salvo a
venire immediatamente dopo rieletto consigliere comunale per essere chiamato,
ancora e subito, a rivestire il massimo ufficio municipale.
L'insieme
dei fattori normativi e politici specificati spiega in parte
perché la ammissione al Consiglio Comunale, organo elettivo nel cui seno
venivano nominati il sindaco e gli assessori municipali, fosse riservata a una
cinquantina di persone, ferma restando la ragione principale costituita dalla
posizione di prepotere di alcuni gruppi del paese, in grado di influenzare un
elettorato così elitario.
Le
masse non soltanto restavano escluse dall'elettorato passivo e
dall'amministrazione civica, ma non potevano nemmeno eleggere i consiglieri
comunali.
Le
ricche famiglie - proprietarie di vaste estensioni di terra e di cospicui greggi
e armenti - e i pochi soggetti che esercitavano le professioni liberali, anche
se non sorretti da buoni orientamenti e programmi politici, imponevano ai ceti
sociali inferiori, con l'autorità che derivava loro dalla forza economica, i
candidati da eleggere consiglieri comunali.
«L'alleanza tra aristocrazia ex-feudale
e borghesia terriera e capitalista veniva ad annullare l'evoluzione politica e
liberale del nuovo stato italiano e restava ancorata alla roccaforte del Comune».[i]
La
emancipazione del proletariato era ancora di là da venire.
Tutto
questo, se può ascriversi a demerito del ceto dirigente conservatore dell'epoca
che pure, per il servizio reso alla municipalità, qualche merito poteva
vantarlo, piuttosto mette in evidenza l'aspetto etico-politico di una concezione
dello Stato e della pubblica amministrazione, che anteponeva all'interesse
generale della collettività quello particolare del singolo notabile o del
gruppo che a lui faceva capo.
Veniva
così praticato un principio fondamentale del liberalismo che affermava i limiti
del potere pubblico e il primato della coscienza morale dell'individuo sul bene
comune e sugli scopi sociali.
II.2
I provvedimenti amministrativi del periodo di storia sin qui trattato
furono in massima parte insignificanti.
L'azione amministrativa praticata dai Cavalieri, che formavano gli organi
comunali, aveva l'effetto di determinare la persistenza della condizione di
emarginazione e di sofferenza delle classi più deboli, alle quali tanti
sacrifici venivano imposti nel superiore interesse del pareggio del bilancio
dell'Ente, che aveva scarse risorse patrimoniali e finanziarie.
Sintomatico
è, al riguardo, il ripristino disposto dal Consiglio Comunale
l'8 novembre 1894 (delibera n.8) dell'imposta di consumo - il dazio - su
alcuni generi di prima necessità consumati comunemente dal popolo minuto:
farina, crusca, carbone, patate, uova, olive, fichi secchi e castagne.
L'imposizione
fiscale su questi come su altri generi di largo e generale consumo assicurava al
Comune il gettito più cospicuo del proprio bilancio, più di quanto non gliene
derivasse globalmente da tutti gli altri tributi (imposte e sovrimposte, tasse e
diritti vari) pagati dai cittadini.
Nel
1894, senza farsene alcuno scrupolo, il Consiglio Comunale sopprimeva due classi
delle scuole elementari, in quanto il Comune non poteva sostenere l'onere per il
compenso da corrispondere ai maestri. Era la politica della lesina applicata con
il massimo rigore, senza alcuna considerazione per gli scopi sociali della spesa
pubblica.
Non
mancarono, però, alcuni efficaci interventi di utilità pubblica, indicativi
della volontà e dell'impegno della classe dirigente di affrontare qualche
annoso problema, per sollevare il paese dalla condizione di arretratezza civile
in cui si trovava.
Il
27 novembre 1894 il Consiglio Comunale stabiliva (delibera n.35) di costruire il nuovo mattatoio, che avrebbe
cominciato a funzionare nella primavera del 1896, nella stessa sede ove
attualmente si trova, senza che funzioni da anni.
Il
18 agosto 1897 (delibera n.80) veniva approvato il progetto di un'importante
opera igienica, la costruzione del nuovo cimitero su un'area di 35.000 metri
quadrati ritenuta sufficiente per una popolazione che aveva superato i 14.000
abitanti.
Il
17 settembre 1897 il sindaco, avv. Gaetano Prato, riferiva al Consiglio Comunale
che l'intero paese attingeva l'acqua potabile soltanto dalle piccole fontanelle
o canali, collocati fuori dall'abitato - nello spiazzo denominato appunto 'u
canali - che venivano alimentati dalla sorgente Val di Noce.
Aggiungeva,
il Sindaco, che lo scarso afflusso di acqua era motivo di disperazione per la
gente che doveva attendere delle ore per riempire una brocca di acqua; una
situazione grave, che era «causa di ripetuti disordini, liti, risse che
talvolta si concludono con dei ferimenti».
Si
rendeva, pertanto, necessario un sacrificio finanziario del Comune per il
trasporto a Valguarnera dell'acqua di una sorgente rinvenuta in una zona
distante alcuni chilometri dal paese, per soddisfare le improcrastinabili
esigenze alimentari e igieniche della popolazione che superava 14.000 abitanti.
Il
Consiglio Comunale, accogliendo la proposta del Sindaco, stabiliva di realizzare
l'acquedotto esterno per la derivazione dell'acqua della sorgente esistente
nella Valle della Pergola, in contrada Cafeci, approvando allo scopo una perizia
di massima; una scelta molto criticata e contestata dagli oppositori della
famiglia del Sindaco, alla quale apparteneva la sorgente.
Significative
sono, al riguardo, le varie lettere aperte di protesta[ii]
indirizzate agli organi e uffici municipali da due uomini del partito di
opposizione, Lorenzo Mineo e Cosimo Prominenza (gli stessi menzionati nel
rapporto di polizia in occasione del moto di piazza del marzo 1901); una
protesta che si rivelò efficace in quanto indusse le autorità governative ad
intervenire presso l’Amministrazione Comunale, che fu costretta ad abbandonare
il progetto di Valle della Pergola e ad indirizzarsi alla captazione della
sorgente della Valle dell’Inferno, anch’essa situata in contrada Cafeci.
Sicché
Mineo e Prominenza, il 17 settembre 1901, poterono annunciare alla popolazione
con la loro quarta lettera aperta:
«Il progetto
di derivazione dell’acqua dalla Valle della Pergola, nato mancante di uno dei
due requisiti indispensabili ad un buon progetto di conduttura, l’altitudine,
venuto su senza lo studio d’un ingegnere specializzato, infirmato da una lite
sorta su questione di prezzo per la compra, pregiudicato da una aggiudicazione
d’appalto ad offerta privata, abbandonato dall’appaltatore proprio nel
momento in cui doveva metterlo in opera, è stato colpito a morte da una grave e
pubblica accusa…cantiamo perciò il de
profundis al progetto medesimo e
diciamo «mancu mali ca foru ficu» cioè,
per fortuna si è fatto in tempo a captare l’acqua della sorgente della Valle
dell’Inferno che ha una portata superiore ed è collocata a maggior altitudine
tale da assicurare per caduta l’approvvigionamento idrico all’intero paese.
I lavori di costruzione dell’acquedotto esterno sarebbero stati
completati nel 1903, mentre la rete idrica interna sarebbe stata costruita nel
1906. La
sorgente della Valle dell’Inferno viene tuttora utilizzata dal Comune
di Valguarnera.
Per
distribuire l'acqua alla popolazione, nelle more della realizzazione del civico
acquedotto, fu costruito nella piazza Carcere un grande bevaio con 14 getti.
Il
prelievo dell'acqua veniva calcolato per ogni famiglia a scannagghi, presuntivamente, in base al numero dei componenti, con
pagamento anticipato del prezzo.
Il
Comune provvedeva anche alla distribuzione dell'acqua trasportandola nelle case
della gente a mezzo di botti collocate su carretti.
L'11
aprile 1897 veniva approvato il progetto per la sistemazione del piano della
Chiesa Madre, i cui lavori sarebbero stati eseguiti tre anni dopo.
L'1
marzo 1898 (verbale n.8) il
Consiglio Comunale deliberava di collocare nella sala consiliare del palazzo
comunale il busto di Domenico Minolfi Scovazzo, già deputato nazionale e Presidente del Consiglio Provinciale di
Caltanissetta, morto qualche mese prima, che era stato uno dei capi più
autorevoli della Destra reazionaria siciliana; quel busto doveva onorarne la
memoria, in riconoscimento dei meriti - non precisati - acquisiti
da Minolfi Scovazzo nei confronti del Comune di Valguarnera.
A
memoria d'uomo, il busto non fu mai collocato, forse perché le massime autorità
municipali riconobbero, a posteriori, la validità del rilievo del cav. Eugenio
Arena e di altri consiglieri liberali con tendenze di sinistra, i quali si erano
opposti alla decisione consiliare, osservando che in onore del sindaco
filantropo Sebastiano Arena, morto da 8 anni, non era stata collocata
all'interno del palazzo municipale nemmeno una targa o una qualsiasi iscrizione,
che ne ricordasse i meriti di grande benefattore del popolo.
Nel
corso dell'anno 1898 si provvedeva a finanziare:
- la
costruzione del prolungamento verso la via Palermo del largo marciapiede
sottostante il palazzo comunale (delibera n.23 dell'1 marzo);
- la
costruzione di un grande lavatoio pubblico in contrada Buglio, nei pressi della
sorgente d'acqua ivi esistente (delibera n.58 del 28 dicembre); l'acqua di
questa sorgente sarebbe stata incanalata nel serbatoio idrico comunale 73 anni
dopo, sotto l'Amministrazione comunale presieduta dal sindaco Giuseppe Giarrizzo.
Nella zona non c'è oggi alcuna traccia del caratteristico lavatoio che per
tanti decenni fu utilizzato dalle lavandaie che stavano al servizio delle
famiglie abbienti, nonché dalle donne delle famiglie più povere di Valguarnera.
Il
16 ottobre 1898, il Comune aderiva (delibera consiliare n.51) al consorzio tra
la Provincia di Caltanissetta, i comuni di Aidone, Piazza Armerina e Valguarnera
e le amministrazioni delle miniere Gallizzi, Grottacalda e Floristella, per la
costruzione e l'esercizio della linea ferrata Assoro-Valguarnera-Piazza
Armerina; il primo treno sarebbe arrivato a Valguarnera il 25 aprile 1912.
Il 22 aprile 1899 veniva stabilito (delibera n.67) di sistemare la via
Garibaldi, divenuta ormai la strada principale del paese, la quale sarebbe stata
ottimamente pavimentata con basole di pietra lavica (con una spesa di lire
ventimila).
Il
provvedimento del Consiglio Comunale, che pure rivestiva un prevalente interesse
pubblico, offrì il destro all'opposizione per imbastire una speculazione
politica, con il pretesto che sulla
strada da costruire sorgeva la
dimora del sindaco Filippo Prato.
Una
quisquilia politica che, tuttavia, aggiunta ad altri fatti amministrativi più
gravi, provocherà un'inchiesta sul Comune disposta nel 1901 da Giolitti,
ministro dell'interno nel governo Zanardelli, per formare poi oggetto di
valutazione negativa nella relazione con la quale lo stesso Ministro proporrà
al Re lo scioglimento del Consiglio Comunale di Valguarnera Caropepe.
Giovanni
Giolitti, passato alla storia come il maggior statista italiano dopo Cavour per
la sua politica liberale e riformista sul piano economico e sociale, non disdegnò
di praticare un'azione di governo clientelare per rafforzare il suo potere.
E
attuando anche una politica di intrighi e maneggi (Gaetano Salvemini lo chiamò
per questo "il ministro della malavita"), non si lasciò sfuggire
occasione per indebolire gli avversari. Tra questi si trovavano, nel 1901, i
"padroni" del municipio di Valguarnera, da sempre schierati con la
Destra conservatrice, capeggiata in provincia di Caltanissetta dal deputato
Domenico Minolfi
Scovazzo di
Aidone, che «coagulava gli
interessi della grossa borghesia terriera».
La
corrente politica di Minolfi Scovazzo era osteggiata dalla Sinistra, formata
principalmente dal ceto emergente della nuova borghesia, «rappresentata dal
senatore aidonese Vincenzo Cordova Savini e dal deputato La Vaccara Giusti di
Piazza Armerina».[iii]
L'occasione
per infliggere un duro colpo alla fazione avversaria del Minolfi Scovazzo si
offrì al ministro Giolitti con l'esito della ispezione fatta eseguire sul
Comune di Valguarnera in seguito alla segnalazione di irregolarità varie
attribuite dall'opposizione agli amministratori dell'Ente. E il colpo fu inferto
con lo scioglimento del Consiglio.
La
relazione del ministro al Re Vittorio Emanuele III, a corredo della proposta di
scioglimento del Consiglio Comunale, offriva un quadro molto significativo della
situazione amministrativa (delineata nelle pagine precedenti) di Valguarnera
Caropepe all'inizio del XX secolo.
Si
legge nella relazione ministeriale:[iv]
«Sull'andamento del Municipio
di Valguarnera Caropepe fu nel maggio 1901 eseguita un'inchiesta, la quale diede
risultati gravi. Dal 1891 le stesse persone imparentate fra loro, avevano avuto
il Governo del Comune ed erano più o meno interessate nei pubblici servizi».
Dopo
aver ricordato il disordine contabile-finanziario e il sistema clientelare della
spesa pubblica, praticato per favorire aderenti e amici, la relazione prosegue:
«Il dazio, nella percezione del
quale - data in appalto - risultarono cointeressati
due consiglieri, gravava soverchiamente sui contribuenti essendo praticato per
tutte le voci, non esclusi i generi di maggiore consumo per le classi povere.
La manutenzione delle strade, l'igiene e la nettezza
dell'abitato erano trascurate, i lavori pubblici non determinati da
criteri di generale utilità venivano eseguiti senza l'osservanza della legge e
gravi abusi si tolleravano nel mantenimento degli esposti.
Dopo l'inchiesta le cose non
sono mutate; l'Amministrazione Comunale non ha cessato di commettere irregolarità
e atti di favoritismo.
Mentre le strade abitate da
contadini e minatori sono in uno stato deplorevole, si sono spese lire ventimila
per lastricare la via ove il Sindaco dimora ed è stata deliberata la
pavimentazione di una piazza avanti alla casa di un consigliere ......
L'Amministrazione non si dà
alcun pensiero dei veri bisogni del paese, che scarseggia di acqua potabile e
manca di fognatura.
E' grande il malcontento che
potrebbe, come altre volte, degenerare in disordini, essendo la popolazione
eccitata anche dal fatto che il ruolo della tassa sul valore locativo, istituita
per far fronte ai primi lavori di conduttura dell'acqua potabile, è
stato messo in riscossione senza che le opere siano vicine al loro
incominciamento».
Queste
e altre ragioni inducevano il Ministro dell'interno a porre fine ad uno stato di
cose «divenuto intollerabile» e a proporre "all'Augusta firma di Vostra
Maestà" il provvedimento di scioglimento del Consiglio Comunale di
Valguarnera Caropepe; il decreto reale che disponeva in tal senso fu emanato il
6 febbraio 1902.
Purtroppo,
il grave stato di cose denunciato dal Ministro Giolitti, che indusse Vittorio
Emanuele III allo scioglimento del Consiglio Comunale, non sarebbe cambiato con
le successive amministrazioni comunali.
Dopo
alcuni mesi di amministrazione straordinaria del Comune affidata al commissario
regio, avv. Isidoro Bencivenga, furono indette le elezioni amministrative per la
ricostituzione del Consiglio Comunale.
La
campagna elettorale ingaggiata dall’opposizione «democratica» fu asprissima,
senza esclusione di colpi.
«I fautori
della disciolta amministrazione caduta sotto il peso delle gravi risultanze di
una inchiesta e di responsabilità rilevanti e dichiarate… si aiutano con ogni
mezzo per riafferrare il potere di cui si resero indegni.
La più
sfacciata corruzione dilaga nauseante, inquinando il corpo elettorale: squadre
di galoppini, reclutati tra i peggiori elementi del paese, danno la caccia
all’elettore e con raggiri, promesse e intimidazioni lo conducono dove,
pagato, consente innominabile contratto. Si sussurrano le cifre, si parla di
cambiali, apertamente come in un turpe mercato.
Ma, fenomeno
più grave si è una specie di sollevamento del sottosuolo sociale, con eruzione
di esseri fangosi,…
I peggiori
mafiosi, abigeatari di professione, rapinatori in licenza, sorvegliati speciali
e simili soggetti, che in barba alla legge, spesso impotente a colpirli, vivono
la vita dei vermi, hanno spiegato parte intervenendo con le loro armi terribili
e temibili, all’ombra di chi non sente il disgusto di avvalersene».
Così
descriveva il clima elettorale l’8 agosto 1902, a una settimana
dal voto, una corrispondenza
da Valguarnera pubblicata su «Il Rinnovamento», organo dell’Associazione
Democratica Nissena.
Le
elezioni del 15 agosto 1902 permisero ai soliti "cavalieri" designati
e sostenuti dai soliti notabili del paese, di tornare a occupare le istituzioni
municipali per dare corso ad un altro periodo, lunghissimo, di gestione del
Comune privatistica e clientelare.
Ed
essendo il governo del municipio caratterizzato dai continui maneggi di una
cricca di potere, assai scarsi saranno nel periodo dal 1902 al 1922 (anno
dell'avvento del fascismo) i provvedimenti di interesse generale, migliorativi
dei pubblici servizi.
Il
17 novembre 1906, il Consiglio Comunale commemorava Sebastiano Arena scomparso
17 anni prima, il 10 marzo 1889, e stabiliva di onorare la memoria del grande
benefattore del popolo intitolandogli la Infermeria Civica da lui fondata e la
via S. Antonino che porta da allora il nome dell'illustre Sindaco; inoltre,
veniva collocato un ritratto del Nostro nella sala consiliare del palazzo
comunale, ove tuttora è possibile mirarlo.
Sebastiano Arena aveva fondato nel 1882 l'Ospedale Civico, da lui poi
nominato erede universale di un cospicuo patrimonio,
e aveva permesso al beato Giacomo Cusmano di aprire a Valguarnera, nel
1883, la Casa del Boccone del Povero con l'Ospizio di mendicità e
l'Orfanotrofio, alla quale Casa il Comune aveva concesso parte dei locali
dell'ex romitorio dei padri filippini, ove la importante istituzione da 120 anni
mantiene la sua degna e accogliente sede.
Altre
opere importanti realizzate dal sindaco Sebastiano Arena furono:
-
gli artistici lampioni collocati nel
1869 sulla panchina antistante il palazzo municipale per illuminare la
sottostante piazza;
-
l'imponente edificio scolastico sorto
nel 1888 sulla via Archimede, la cui facciata in stile neoclassico costituisce
uno dei pochi beni culturali di pregio che si possono ammirare nel paese;
-
la costruzione nel 1874 del cimitero
comunale e nel 1881 del carcere mandamentale sorto in piazza Castello.
Il
7 maggio 1911 (delibera n.19) fu stabilito di pavimentare la piazza Umberto I
(ora Piazza della Repubblica), che veniva chiamata dal popolo ‘u
chiani di l'urmi per la presenza ai lati della stessa di numerosi alberi di
olmo. Dieci anni dopo sarebbe stata sistemata la via omonima, già via Palermo.
Negli
anni 1911-13 fu realizzato il tronco ferroviario Valguarnera-Grottacalda, che
avrebbe agevolato il raggiungimento del posto di lavoro agli impiegati e agli
minatori delle miniere Floristella e Grottacalda; ma, a potersi permettere il
prezzo del biglietto ferroviario non erano molti allora.
Il 6
gennaio 1912 il Consiglio Comunale, comprendendo che il nuovo edificio
scolastico funzionante dal 1889, voluto da Sebastiano Arena e sorto nella Via
Archimede, non era più sufficiente per ospitarvi gli alunni delle scuole
elementari demandava (delibera n.12) alla Giunta Municipale di far redigere il
progetto di un nuovo edificio "d'arte", sino alla concorrenza della
spesa di lire cinquantamila, per finanziare la quale occorreva contrarre un
mutuo. La pratica così avviata avrebbe avuto un iter ultraventennale.
Sempre
il 6 gennaio 1912, veniva stabilito:
-
di provvedere al risanamento igienico
dell'abitato, con la costruzione della fognatura e di alcuni lavatoi e orinatoi
pubblici; il risanamento si sarebbe parzialmente attuato nel 1914 e poi nel
1922, con l'impianto della rete fognante nelle vie principali del paese;
-
di inoltrare alla Direzione generale
dei telefoni di Roma una richiesta di istituzione dell'ufficio telefonico; il
relativo impianto sarebbe stato installato, qualche anno dopo, presso l'Ufficio
Postale, anche al servizio del pubblico, mentre il servizio telefonico per i
privati sarebbe stato istituito dopo diversi decenni, nel 1955.
Il
25 aprile 1912 arrivò a Valguarnera il primo treno ferroviario. Sino ad allora
il collegamento del paese con le città di Enna e di Caltanissetta e con i
maggiori centri dell'isola era stato affidato alla diligenza, che percorreva le
regie trazzere e la rotabile Catania-Palermo, alla quale si innestava una
stradella che si partiva dalla Porta Palermo.
Al
mantenimento della diligenza il Comune concorreva con l'erogazione di un
contributo al gestore del servizio.
Molti,
prima che fosse inaugurata le ferrovia, si muovevano a cavallo e anche a piedi,
mentre i benestanti possedevano le lettighe portate a dorso di muli e poi i
carrozzini trainati dai cavalli.
Si
comprende, quindi, l'importanza della ferrovia che pose il paese in una
condizione ottimale per il raggiungimento delle metropoli siciliane, facendone
un crocevia verso alcuni importanti centri dell'interno e della costa
mediterranea.
L'economia
ne ricevette un forte impulso per l'insediamento di alcune fabbriche che
offrirono lavoro a tanti operai.
Il 12 ottobre 1913 si registrava un episodio significativo, che può
essere interpretato come l'inizio del cambiamento della vita politica con la
formazione dei partiti di massa.
La
Giunta Municipale, presieduta dal sindaco Carmelo Costanzo, e 19 consiglieri
comunali rassegnavano le dimissioni dalle cariche amministrative in ossequio
alla volontà degli elettori, in quanto i risultati delle elezioni politiche del
18 settembre 1913 erano stati sfavorevoli al loro partito.
Il Consiglio Comunale veniva, quindi, sciolto e la gestione del Comune
era affidata per alcuni mesi, sino alle elezioni amministrative dell'11 luglio
1914, al Commissario regio rag. Mario Alonzo.
Il
Commissario governativo, con delibera n.25 del 24 marzo 1914, dato atto che «il
paese reclama la sistemazione di tutti i pubblici servizi, che sono stati molto
trascurati dalla passata amministrazione, reputa conveniente delegare a persone
cospicue, che riscuotono la generale simpatia e stima, alcune delle sue
attribuzioni». Ma, paradossalmente, la delega veniva fatta a due autorevoli
esponenti della fazione politica alla quale, appunto, il popolo attribuiva la
responsabilità della carenza dei servizi pubblici, e precisamente ad Alfonso
Prato e a Filippo La Delfa, ai quali fu affidata la cura di alcuni importanti
settori: lavori pubblici, annona, igiene, nettezza urbana, acque, illuminazione,
come dire la reggenza dell'intera amministrazione del Comune.
Una
determinazione, quella del Commissario Alonzo, alquanto strana, che però non
desta meraviglia poiché la commistione tra burocrazia e politica ha permesso in
ogni epoca che si manifestassero nella pubblica amministrazione paradossi ancora
più eclatanti.
II.3
Nella seconda metà del 1914 spaventose bufere solcavano i cieli europei.
Il
23 luglio 1914, dopo circa un mese dall'attentato di Sarajevo del 28 giugno,
l'Austria consegnava alla Serbia un ultimatum, che ne esigeva la resa a
discrezione e rendeva inevitabile la guerra; appena dieci giorni dopo l'Europa
tutta era investita dal grande uragano.
La
notizia delle guerra folgorò l'Italia.
Mentre
la Nazione si divideva tra interventisti e neutralisti, a Valguarnera cessavano
le lotte tra le opposte fazioni politiche e la vita amministrativa, che era
stata movimentata dalla presenza nel Consiglio Comunale di nuovi gruppi
provenienti dalla media borghesia emergente, declinava verso il più assoluto
immobilismo.
La
popolazione dimenticava gli antichi problemi e gli assilli di ogni giorno e
veniva presa dall'angoscia della terribile afflizione che l'avrebbe colpita se
l'Italia fosse entrata in guerra.
Il
movimento interventista, sviluppatosi tra il 1914-15, che raccolse in Italia
elementi di provenienza assai diversa (nazionalisti, futuristi, letterati,
democratici, liberali irredentisti e socialisti influenzati dalle dottrine di
Sorel), trovò pochi sostenitori tra i pacifici cittadini di Valguarnera.
Si
pensava, certo, anche in quel centro situato nell'umbilicum Siciliae, alla liberazione di Trento e Trieste, che
avrebbe realizzato la piena indipendenza e unità dell'Italia, ma solo qualche
giovane voleva la guerra, ritenendo che da essa sarebbe venuto, con la
redenzione dei popoli oppressi, un ordine nuovo.
Ideali
bellissimi, ma utopici!
La
quasi totalità dei giovani temevano di dover partire per andare ad affrontare
le tristezze e i pericoli dei campi di battaglia.
E,
sciaguratamente, non poterono evitarlo poiché l'Italia, il 24 maggio 1915,
notificò la dichiarazione di guerra all'Austria, una guerra protrattasi per 41
lunghi mesi e per la quale il Paese fu sottoposto ai molteplici lutti, pene,
rinunce, disagi di cui ogni guerra è portatrice.
Il
continuo rincaro dei generi alimentari e di vestiario e la carenza di petrolio
misero a dura prova la popolazione di Valguarnera, mentre la mancanza di
manodopera (contadini, braccianti e mietitori) fu maltollerata dalle categorie
agricole; di essa si fece portavoce il Consiglio Comunale che durante la guerra
tenne sporadiche adunanze, una delle quali si svolse il 22 aprile 1917 per
invocare che il Ministro dell'agricoltura concedesse una licenza - dall'1 giugno
al 10 luglio - ai numerosi soldati valguarneresi mobilitati al fronte, per
scongiurare la perdita del raccolto, in quanto la mietitura non sarebbe stata
possibile per mancanza di braccia umane, non praticandosi ancora quella
meccanizzata (verbale n.94).
Il
problema non poté risolversi nel modo sperato dal Consiglio Comunale e la
Giunta Municipale, per sfamare la parte di popolazione più povera, si avvalse
di tutti i suoi tentacoli politici, ottenendo dal Consorzio Agrario provinciale
la concessione di 200 quintali di grano al mese, che fu distribuito alle
famiglie prive di risorse sino alla normalizzazione della situazione dopo la
fine della guerra, con il raccolto di grano dell'estate 1919.
Ma
ogni disagio o malessere causato da quella guerra si rivela poca cosa se
raffrontato al grande tributo di sangue che Valguarnera rese alla patria.
Numerosi
soldati riportarono ferite gravi e tornarono dalla trincea mutilati o invalidi,
36 vennero dichiarati dispersi e 142 morirono più o meno eroicamente, compresi
nel numero tre soldati dell'esercito americano, valguarneresi che erano emigrati
negli Stati Uniti d'America alcuni anni prima.
Dopo
anni di
paura e
di pianto
per l'intero
paese, «quando, il 4
novembre 1918, si seppe la notizia dell'armistizio con l'Austria, le campane
delle chiese suonarono a festa per un'ora e il popolo si abbandonò a segni di
viva gioia. Il 17 novembre volle mostrarsi la gratitudine della nostra cittadina
alla Madonna della Pace, che, ornata di oro e di fiori, venne portata a spalla
trionfalmente per il paese dai valorosi mutilati di guerra, seguita da tutto il
popolo. Era l'alba serena dopo una lunga notte tempestosa».[v]
Cessata
la guerra, si ebbe un risveglio della vita sociale e amministrativa, che per
oltre tre anni era stata contrassegnata da una completa paralisi, ma non si
registrarono fatti socialmente o politicamente clamorosi, né l'Amministrazione
Comunale emanò provvedimenti degni di notazione.
Il
28 giugno 1919 fu stabilito (delibera del Consiglio Comunale n.156) di costruire
un «lavatoio pubblico a 24 scompartimenti per evitare lo smaltimento nelle
pubbliche vie delle acque sporche per la lavatura della biancheria di casa,
mancando in molte strade la rete fognante».
Tra
il 1920 e il 1921 fu costruita e pavimentata la via Umberto I, che si trovava a
fondo naturale con appena uno strato di ghiaia compressa, per i quali lavori fu
abbassato il livello stradale, com’è traccia in alcuni edifici che sorgono
sulla stessa via intitolata oggi a Giacomo Matteotti. La Chiesa Madre fu per
questo risarcita dal Comune delle spese sostenute per ricostruire la gradinata a
levante di accesso al tempio - la grande - divenuta impraticabile (delibera n.
84 del 2 aprile 1922); la piccola fu costruita dal Municipio.
Cinque
anni prima, nella stessa via Umberto I° e nella piazza omonima era stata
costruita la fognatura.
Il
7 gennaio 1923, il Consiglio Comunale disponeva che nelle scuole elementari
venisse impartito l'insegnamento del catechismo (delibera n.139), che il parroco
Giacomo Magno e i suoi coadiutori si erano offerti di effettuare senza alcun
compenso.
Erano
i primi effetti della politica del Duce di avvicinamento alla Chiesa Cattolica,
che avrebbe portato alla stipula dei Patti Lateranensi?
Nel
verbale di seduta consiliare, è dato leggere la seguente motivazione: «Uno dei
capisaldi del programma dell'attuale governo presieduto da S.E. Benito Mussolini
è quello dell'insegnamento religioso nelle scuole. Ed è doveroso educare i
cuori dei teneri alunni al culto della religione cattolica e a sentimenti
veramente cristiani».
Invero,
a quel tempo Mussolini - da poco arrivato al potere - mirava ad accelerare il
processo di dissoluzione del Partito Popolare Italiano, allo scopo di attrarre
verso il fascismo le masse cattoliche per rafforzare e capillarizzare il partito
fascista nel tessuto sociale della Nazione.
Se
erano state dimenticate le declamazioni atee del Mussolini pre-fascista, non era
stato però ancora abbandonato l'anticlericalismo del fascismo della prima ora.
La retorica spiritualista, per la captatio
benevolentiae della Chiesa Cattolica, non era stata ancora messa in atto.
E’, quindi, verosimile che, essendo retto in quel momento il Municipio
da una Giunta demo-popolare, della quale facevano parte vari esponenti del mondo
cattolico eletti nella lista del Partito Popolare Italiano, il parroco della
Chiesa Madre, Giacomo Magno, che era anche vicario foraneo del vescovo della
diocesi di Piazza Armerina, abbia patrocinato la causa della sua Chiesa e,
interponendo i suoi buoni uffici, sia riuscito ad ottenere l'adozione di quel
provvedimento consiliare che disponeva l'insegnamento del catechismo nelle
scuole.
Il
26 febbraio 1923, veniva istituito l'ambulatorio antitracomatoso allo scopo di
debellare la pericolosa infezione del tracoma che era diffuso in ogni strato
della popolazione (delibera n.146). Nello
stesso periodo il Comune aderiva al Consorzio Provinciale Antitubercolare.
Con
questi provvedimenti, la politica sanitaria dell'Amministrazione demo-popolare
faceva un salto di qualità e i risultati positivi si sarebbero colti di lì a
pochi anni con la graduale riduzione delle due gravi malattie contagiose.
1
Francesco Longo, Cronaca
della Città di Enna dal 1861 al 1981, Appendice alla Storia di Enna di
Paolo Vetri, Editrice Palma, Palermo, 1981, p.12
2
Le lettere aperte
venivano diffuse attraverso volantini stampati in tipografia o mediante la
pubblicazione su «il Rinnovamento»,
Organo dell’Associazione Democratica Nissena, del quale era
corrispondente da Valguarnera Cosimo Prominenza, uno degli autori delle
lettere